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BRIONVEGA ALGOL 11-- 1963 (COLORE ROSSO ) BRIONVEGA ALGOL 11-- 1963 (COLORE ROSSO ) 1963 ITALIA UNA : TUBO CATOTICO TELEVISORE ALGOL OTTIMO FUNZIONAMENTO ( BIAMCO E NERO) 220VOLT 110 Alimentazione a corrente alternata (CA) INTERNO PLASTICA Il televisore Doney è un lavoro dai primi anni '60. E si è formata l'immagine della gente di televisori portatili. Ma questo non basta. È stato anche un'innovazione nel senso technicals poiché è stato il primo TV con un transistor costruito in Europa. E 'stato il primo a vincere il "Compasso d'Oro", che è un premio importante anche per un team di successo di designer come Richard Sapper e Marco Zanuso. Brionvega ha dotato il Doney con la più nuova tecnologia. L'aspetto intenzionali con lo schermo overdimensional rendono il Doney in modo molto particolare che sarete sempre lo riconosce. - Design: Marco Zanuso Marco Zanuso è nato a Milano nel 1916 e morì nel 2001. Ha agito come progettista architetto, designer e la città e si è laureato nel 1939 in architettura. Designers Marco Zanuso e Richard Sapper Vincitore del premio Compasso d'Oro esposto al Moma di New York pubblicato su L'utopie du Tout Plastique e quant'altro
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STUPENDO TELEVISORE -FUNZIONA PERFETTAMENTE
Storica azienda produttrice di apparecchi radiotelevisivi, Brionvega è stata tra le prime a dare impulso al design come elemento imprescindibile di un prodotto. I modelli Brionvega sin dal lontano 1945 si sono caratterizzati infatti per il loro stile. Celebri designer del calibro di Hannes Wettstein, Mario Bellini o Richard Sapper hanno lavorato con Brionvega per dare vita a modelli capaci di sintetizzare l’idea di usabilità e di bellezza estetica. Ogni prodotto Brionvega deve potersi adattare a ogni tipo di ambiente ed esigenza calandosi nel quotidiano dell’acquirente, ma donando un tocco di eleganza tecnologica e di classe riconoscibile. Il punto di partenza per Brionvega è dunque la conoscenza delle esigenze ergonomiche del prodotto considerato nel suo impiego; e ogni modello Brionvega deve realizzare la sintesi di affidabilità, facilità d’impiego e appeal tecno-estetico. Non a caso molti prodotti hanno letteralmente segnato un’epoca tanto da essere oggi esposti nei musei; si pensi al radioricevitore TS502, comunemente noto come “Cubo” o al Tv portatile Algol. Un successo che ha contribuito a diffondere il cosiddetto concetto di “bello italiano” come sintesi mirabile di produzione e creatività; successo che spinge Brionvega oltre i confini del suo mitico passato.
L'abitare: conflitti interni ed esterni
"La casa rappresenta una parte di noi, di ciò che siamo. E' il luogo che protegge noi stessi e le nostre cose. E' l'ambito dove accumuliamo le nostre memorie, custodiamo le nostre ambizioni, desideri e paure, dove poniamo la vita di ogni giorno, quasi potesse assumere forma tangibile. In un'apparente contraddizione, le mura della casa racchiudono lo spazio in cui possiamo essere liberi, svincolati da ogni ostrizione sociale, morale o politica; protetti da queste pareti, troviamo spazio per l'intimità. Ma una casa è anche palcoscenico: rivela non solo ciò che siamo, ma anche ciò che vorremmo essere. Questo la rende un mezzo di rappresentazione di se stessi, che sovrappone alla parte più privata della nostra vita una dimensione prevalentemente pubblica.
Queste idee di domesticità, che influenzano il modo in cui vengono organizzati e operano i progetti residenziali contemporanei, sono in verità concetti recenti, divenuti comuni in seguito alla crescita della classe media che ora può esigere un proprio spazio. Sappiamo che tutti i cambiamenti avvenuti in Portogallo negli ultimi decenni hanno modificato sostanzialmente le nostre consuetudini, gli stili di vita collettivi ed individuali: come abbiamo cambiato le nostre abitudini di consumo e divertimento, i livelli di educazione e cultura, dogmi, modelli e idee, il nostro spazio collettivo è espresso sempre di più al singolare. In questo senso vi è un evidente paradosso tra la standardizzazione abitativa - lo spazio di ogni giorno - e la necessità di individualizzarlo
Il modello abitativo standard è in conflitto con le caratteristiche del mondo contemporaneo. Poichè infatti se tutti i cambiamenti che sono avvenuti in campi diversi come la psicologia, le arti, la politica, la religione, la sessualità e l'antropologia hanno delle conseguenze sulle dinamiche mutevoli dei nuclei famigliari, questo non è rispecchiato negli spazi del nostro quotidiano. Se vi è una conclusione da trarre, essa è che viviamo in uno spazio fisico che non è nostro (non lo è più). Con l'avvento dell'era moderna, l'abitazione è diventata la più significativa materia di studio per lo sviluppo dell'architettura, consentendo un investigazione da laboratorio per la verifica d'idee, significati e tecnologie costruttive. L'abitazione, grazie alla scala contenuta e alla continua evoluzione del programma funzionale, diviene un prototipo per l'architettura; si offre come un'estensione fisica della teoria, in particolare negli esiti delle avanguardie moderne.
Nascita del transistor
Nel novembre del 1954 venne commercializzato il primo apparecchio radio interamente a transistor. A guardare la storia della tecnologia da quel giorno ad oggi, sembra che non siano passati solo cinquant'anni, ma un tempo smisurato. Il transistor e i suoi derivati hanno infatti impresso allo sviluppo tecnologico un'accelerazione che non si era mai vista prima, nemmeno ai tempi della Rivoluzione Industriale o della nascita della Radio stessa. Oggi guardiamo con affetto e nostalgia alle prime "radioline" degli anni '50, che entrano a buon diritto nel mondo della radio d'epoca, e guadagnano un posto di assoluta dignità a fianco delle loro calde ed ingombranti "sorelle" a valvole. Coloro che hanno l’età per ricordare quegli anni, memorabili anche per tanti altri motivi, non possono certamente dimenticare il primo “contatto” con uno di quei curiosi oggetti variopinti, allora chiamati affettuosamente “radioline a transistor” o semplicemente “transistor”, scatolette di plastica abbellite da qualche fregio cromato e racchiuse in una lussuosa custodia in cuoio, che col loro peso di poche diecine di grammi erano in grado di sintonizzarsi con precisione su tante stazioni senza diventare neppure leggermente tiepide, ma diffondendo quel “profumo” di elettronica che ci sarebbe diventato in seguito tanto familiare. A fianco ai “transistor” tascabili, poi, c’erano – o arrivarono subito dopo – i “transistor” portatili, col mobiletto in legno rivestito in tela plastificata o “vinilpelle”, provvisti di antenna telescopica e maniglia per il trasporto, che con le loro pile a lunga durata e un altoparlante di grande diametro assicuravano un suono di buona qualità, quasi comparabile con quello delle agguerrite concorrenti a valvole. Iniziò così una guerra, destinata a protrarsi per oltre un decennio, nella quale ogni giorno la nuova tecnologia rubava terreno alla vecchia, fino a soppiantarla del tutto e a renderla obsoleta e inutile. Qualcosa del genere capiterà tante altre volte negli anni a seguire, sempre a causa del transistor, che sotto altra veste causerà dapprima la “morte” delle calcolatrici meccaniche, e successivamente quella delle gloriose macchine da scrivere, col conseguente crollo finanziario di numerose aziende storiche che basavano i loro affari sulla meccanica di precisione e non ebbero la prontezza di riconvertirsi. Nascita del transistor Il transistor nasce in America alla fine del 1947. E’ frutto di una lunga ricerca condotta presso i Bell Laboratories da Shockley, Bardeen e Brattain, che per questo risultato guadagneranno il premio Nobel nel 1956. La storia comincia negli anni precedenti la II Guerra Mondiale, quando alcuni ricercatori, studiando le caratteristiche del silicio scoprirono l’esistenza di due diversi tipi di semiconduttore, quello di tipo “N” e quello di tipo “P”, a seconda di certe impurità contenute nel reticolo cristallino. Fu subito chiaro che questa ricerca avrebbe potuto condurre a utili applicazioni, tanto che il giovane ricercatore William Shockley ebbe a dichiarare nel 1939: “Sono certo che un amplificatore che faccia uso di semiconduttori al posto dei tubi a vuoto sia in linea di principio possibile”. Sfortunatamente la guerra interruppe le ricerche in questo settore, e fu solo nel 1945 che venne ristabilito presso i Bell Labs un gruppo di lavoro sui semiconduttori, capeggiato da Shockley. Nei due frenetici anni successivi il gruppo concentrò le sue ricerche sul germanio, invece del silicio utilizzato prima della guerra, e finalmente il 23 dicembre 1947 i tre ricercatori poterono presentare al mondo intero un dispositivo amplificatore completamente nuovo, nella forma di un antiestetico intreccio di fili montati su un supporto di plexiglas. Le caratteristiche dei primi transistor non erano certo entusiasmanti: il coefficiente di amplificazione era piuttosto scarso, il comportamento alle alte frequenze largamente deludente, e l’affidabilità complessiva lasciava molto a desiderare. Ciononostante le grandi industrie cominciarono quasi immediatamente la produzione di proprie serie di transistor, soprattutto in vista di applicazioni particolari, in cui la miniaturizzazione e il basso consumo fossero elementi determinanti per il progetto. Dunque all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, le principali aziende americane già attive nel campo dei tubi elettronici (RCA, Sylvania, Raytheon,), mantenevano una linea di produzione di dispositivi a semiconduttore, senza peraltro “spingere” troppo, e senza inserirli in prodotti di largo consumo, soprattutto per evitare di rischiare sulla propria immagine. L’unica tra le grandi industrie a lavorare seriamente ad una applicazione che favorisse il lancio commerciale del transistor era la Texas Instruments (TI), azienda leader nel settore dei semiconduttori. Di fatto già nel 1953 gli ingegneri della TIavevano messo a punto un progetto di ricevitore tascabile interamente a transistor. I prototipi, pur perfettamente funzionanti, denotavano però alcuni problemi dovuti alla necessità di selezionare i transistor da installare in ciascuno stadio, a causa dell’alta variabilità delle caratteristiche di ciascun elemento. Ciò faceva lievitare il prezzo del prodotto finito a livelli improponibili, data l’alta percentuale di lavoro manuale necessaria per la produzione e messa a punto di ciascun esemplare. Intanto, una giovane azienda di Indianapolis, la I.D.E.A. (Industrial Development Engineering Associates), nata dall’associazione di alcuni ex dipendenti dell’RCA, stava a sua volta cercando un proprio sbocco commerciale, con prodotti che non la mettessero in diretta concorrenza con le grandi Case. Già attiva nel campo dell’elettronica con un amplificatore d’antenna per TV, nel 1954 fondò una divisione nuova, cui venne dato il nome di REGENCY, con lo scopo di sviluppare e brevettare nuovi dispositivi in campo elettronico. Il presidente dell’IDEA, Ed Tudor, fu entusiasta all’idea di iniziare la produzione di un ricevitore tascabile a transistor, partendo dal presupposto che con l’avvento della guerra fredda con l’Unione Sovietica, in previsione di un attacco nucleare la radio a transistor avrebbe potuto rappresentare un elemento essenziale per la sopravvivenza. Fu l’ingegnere capo della Regency, Dick Koch, a sviluppare l’idea che mancava alla TI per rendere commerciabili i suoi apparecchi a transistor. Con le modifiche di Koch il progetto della TI diventava insensibile alle caratteristiche intrinseche dei componenti utilizzati, che quindi potevano essere montati e saldati direttamente sulla piastrina a circuito stampato senza alcun altro intervento umano. Inoltre il numero dei transistor scendeva da sei a quattro, con un conseguente ulteriore calo di costo alla produzione. Una terza azienda, la PAINTER, TEAGUE & PETERTIL, specializzata in design industriale, fu incaricata di progettare il contenitore in materiale plastico colorato, da realizzarsi per semplice stampaggio a caldo, senza alcuna successiva lavorazione meccanica (fresatura, lucidatura o altro). Il primo transistor, presentato presso i Bell Labs nella storica data del 23 dicembre 1947. Il transistor nasce in America alla fine del 1947. E’ frutto di una lunga ricerca condotta presso i Bell Laboratories da Shockley, Bardeen e Brattain, che per questo risultato guadagneranno il premio Nobel nel 1956. La storia comincia negli anni precedenti la II Guerra Mondiale, quando alcuni ricercatori, studiando le caratteristiche del silicio scoprirono l’esistenza di due diversi tipi di semiconduttore, quello di tipo “N” e quello di tipo “P”, a seconda di certe impurità contenute nel reticolo cristallino. Fu subito chiaro che questa ricerca avrebbe potuto condurre a utili applicazioni, tanto che il giovane ricercatore William Shockley ebbe a dichiarare nel 1939: “Sono certo che un amplificatore che faccia uso di semiconduttori al posto dei tubi a vuoto sia in linea di principio possibile”. Sfortunatamente la guerra interruppe le ricerche in questo settore, e fu solo nel 1945 che venne ristabilito presso i Bell Labs un gruppo di lavoro sui semiconduttori, capeggiato da Shockley. Nei due frenetici anni successivi il gruppo concentrò le sue ricerche sul germanio, invece del silicio utilizzato prima della guerra, e finalmente il 23 dicembre 1947 i tre ricercatori poterono presentare al mondo intero un dispositivo amplificatore completamente nuovo, nella forma di un antiestetico intreccio di fili montati su un supporto di plexiglas. Il nome transistor (combinazione di TRANSconductance varISTOR) fu suggerito da un altro ingegnere dei Bell Labs. La teoria che sta alla base del funzionamento dei transistor (teoria delle bande nei semiconduttori) è piuttosto complessa, difficilmente semplificabile come si usa fare per spiegare il funzionamento delle valvole. Il primo transistor (detto anche “triodo a stato solido”), è un diretto discendente del diodo a semiconduttore, a sua volta derivato dai classici rivelatori a galena conosciuti fin dai primi anni del secolo scorso. Il diodo a cristallo è basato su un pezzetto di cristallo di germanio su una superficie del quale viene collegato un conduttore (terminale di catodo), e sull’altra superficie viene realizzato un contatto a “baffo di gatto” con un filo sottilissimo (terminale di anodo), realizzando così una “giunzione” dalle proprietà rettificatrici per la corrente elettrica. La corrente può fluire con facilità dall’anodo verso il catodo, ma non viceversa. Il transistor originale a punte di contatto era basato su una tecnologia simile; consisteva in una piastrina di germanio, detta base, a una faccia della quale era connesso un elettrodo, mentre sull’altra faccia erano poggiati altri due sottili elettrodi a punta: uno era detto emettitore (o anche “emittore” dall’inglese emitter), l’altro collettore. In questo modo si avevano due punti di contatto, quello tra base ed emettitore e quello tra base e collettore. Il ben noto simbolo grafico del transistor deve la sua origine proprio alla configurazione iniziale.
Oggi, l'interesse per il design non è più esclusivo di una ristretta elite, ma é caratteristico di un pubblico sempre più vasto che ne segue attentamente lo sviluppo. Come fare, però, per distinguere nella moltitudine di prodotti ed articoli di design, l'oggetto veramente autentico che non conosce nè mode nè tendenze? Hannes Wettstein, Mario Bellini, Richard Sapper, Marco Zanuso, i fratelli Castiglioni ed Ettore Sottsass, designer di fama mondiale, rispondono a questa domanda: le loro creazioni per Brionvega concretizzano la ricerca da parte dell'uomo di oggetti che si distinguono per una bellezza che si pone al di fuori e al di là di ogni moda. Essi volgono tutta la propria attenzione alle molteplici relazioni che intercorrono tra l'uomo e l'oggetto d'uso quotidiano. Prodotti come il radioricevitore TS502 oppure il Tv portatile Algol sono diventati veri e propri oggetti di culto che, grazie al loro design, hanno ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo e, oggi, sono esposti nei musei più prestigiosi.
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Brionvega è, senza alcun dubbio, una di quelle marche italiane che hanno lasciato il segno nella storia del design mondiale e che, ancora oggi, vivono nella passione degli appassionati collezionisti di Modernariato in tutto il mondo. Fondata a Milano nel 1945 da Giuseppe Brion e l’amico ingegner Pajetta con il nome B.P.M., si occupava inizialmente di produzione di componenti elettrici ed elettronici per poi specializzarsi nella realizzazione di apparecchi radiotelevisivi con il nome prima di B.P.Radio, poi di Radio Vega Television ed infine, negli anni ’60 di Brionvega. Nel dopoguerra in Italia era arrivata la radio e nel 1954 arrivò anche il televisore con l’inizio delle trasmissioni RAI: Brionvega era pronta alla sfida e cominciò una lunga produzione di televisori e apparecchi radio, tutti accomunati dall’inscindibile unione di ottimo design e avanzatissima tecnologia. Fin da subito Brion e Pajetta chiamano alla loro corte i migliori architetti dell’epoca che danno forma a televisori dal design avveniristico e intramontabile con un occhio sempre attento alla loro usabilità ed inseribilità nell’ambiente casalingo. Rodolfo Bonetto e Franco Albini sono i primi designers a cimentarsi con il marchio realizzando tra gli altri il TV Cristallo 23” (Bonetto, 1959/60) e il TV Orion 23” (Albini-Helg, 1961). Arriva il boom economico e negli anni ’60 la domanda di apparecchi televisivi aumenta a dismisura, consacrando il televisore a punto imprescindibile di ogni salotto. La televisione diventa per Brionvega non solo oggetto di culto tecnologico, ma vero e proprio pezzo di arredo. Sono i designer Marco Zanuso e Richard Sapper a realizzare i pezzi storici del catalogo Brionvega: il TV DONEY 14” (Zanuso-Sapper, 1962), dall’originale forma a dado arrotondato, primo televisore portatile a transistor prodotto in Europa, insignito nel 1962 del prestigioso premio “Compasso d’Oro”. Poi il TV ALGOL 11” (Zanuso-Sapper, 1964), caratterizzato dallo schermo inclinato (Zanuso proprio per questo lo paragonerà ad un cagnolino che guarda in su il suo padrone) e dalla maniglia in metallo estraibile, presto esposto nei più famosi musei internazionali, quali il MOMA (Museum of Modern Art) di New York. E ancora la radio TS 502 (Zanuso-Sapper, 1964), con il suo “guscio” costituito da due scocche cubiche, a spigoli arrotondati, incernierate in modo da aprire e chiudere l’apparecchio. Già solo questi tre pezzi fanno entrare Brionvega nell’Olimpo del design, ma non è certo finita, tanti altri pezzi storici costituiscono oggetti di assoluto riguardo. Non dimentichiamo infatti anche il televisore SIRIUS (Zanuso, 1964), utilizzato come monitor alla RAI nel 1966, il TV DONEY 12” (Zanuso-Sapper, 1967), evoluzione del Doney 14”, ed il TV BLACK ST 201 (Zanuso-Sapper, 1969), uno dei primi televisori di piccole dimensioni concepiti più come pezzi di arredo che come semplici portatili. I fratelli Castiglioni firmano poi il radiofonografo stereofonico RR 126 (1966), dalla forma antropomorfa, da comporre in tre configurazioni diverse, uno dei pezzi più ricercati dai collezionisti di modernariato. Negli anni ’70 inizia la collaborazione con Mario Bellini che realizza altri capolavori assoluti, come il TV ASTER (1970), il MONITOR 15” (1978), lo SPOT 15” (1978), che introduceva la prima funzione di sintonia automatica a 100 canali e il TV ALTA FEDELTA’ 26” (1979), che continuava la tradizione Brionvega di unire grande design a tecnologia assoluta, con prestazioni in questo caso di alta fedeltà non solo per l’immagine ma soprattutto per il suono. Arrivano gli anni ’80 e in Italia nasce il gruppo Memphis, continua l’uso di materiali plastici dai colori sgargianti e Brionvega si affida questa volta al grande Ettore Sottsass, ideatore della serie limitata di televisori MEMPHIS realizzati in omaggio ovviamente all’omonimo gruppo. Brionvega è già mito: inizia la riedizione di modelli storici da parte degli stessi designer che li hanno creati: Zanuso ridisegna il TV ALGOL 11” (1989) nelle varianti bianco e blu ora completo di telecomando, Bellini progetta il TV LED 20” (1980), derivato dal modello SPOT. E’ la volta di Lucci e Orlandini, due designer allievi di Zanuso che progettano il CORO PANSOUND (1983) ed il SINTESI (1988), dal particolare sistema di casse orientabili e componibili in punti diversi dell’ambiente, per ottimizzare al massimo l’acustica. Ancora una volta Brionvega rimane sinomico di HI-Tech e Design. Bellini disegna per Brionvega anche negli anni ’90 e sforna altri capolavori come il TV BEST 15” (1990), dal particolarissimo involucro triangolare posteriore, il QUADRO 25” (1992), precursore del flat-square screen che oggi ben conosciamo e lo stupendo GLASS CUBE (1992), un cubo in cristallo trasparente e riflettente, un pezzo di arredo semplicemente incredibile che diventa anche televisore una volta acceso.