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IL SOLDATINO DI PIOMBO IL SOLDATINO DI PIOMBO ITALIA VINILICO 33 GIRI http://www.youtube.com/watch?v=44A4HaeAJuI
- Mamma, guarda come sono belli! - Esclamò il bambino saltellando dalla gioia. Il coperchio della scatola di legno, aperto con impazienza, fece ammirare una ventina di soldatini di piombo allineati come in una parata. Le uniformi rosso fiammante davano ai piccoli militari un fiero portamento: giacche scarlatte, pantaloni blu scuro, copricapi neri con piume rosse e bianche. Ognuno portava con fierezza il suo fucile. Il bambino li prese uno ad uno e li mise sul tavolo, guardandoli meravigliato. L'ultimo gli sembrò molto curioso: rimaneva perfetta-mente diritto, magnifico come il resto della truppa... ma aveva una gamba sola! Malgrado questo difetto, o forse proprio per questo, aveva uno sguardo più fiero, più audace degli altri. Subito, il ragazzino lo prese in simpatia e divenne il suo soldatino preferito. Sulla tavola si trovava anche un castello di carta... Con il tetto d'ardesia, le mura di pietra con i riflessi dorati, la scala con le ringhiere in ferro, questo castello assomigliava ad un maniero feudale. Era in mezzo ad un parco verdeggiante ricco di alberi e piante multicolori. Due cigni bianchissimi navigavano maestosamente in un lago di carta argentata. Ma la cosa più interessante era una graziosa ragazza che stava sulla porta d'entrata: i biondi capelli raccolti in trecce, gli occhi limpidi come l'acqua del lago, il sorriso dolce e attraente, la rendevano la più bella delle ballerine. Un vestito etereo, stretto in vita, la faceva sembrare ancora più delicata e fragile. Con le braccia alzate sopra la testa, rimaneva in perfetto equilibrio sulla punta di un piede. L'altra gamba, tesa in aria, era in parte nascosta dall'ampia gonna. Dopo essere uscito dalla scatola, il soldato, attratto dalla bellezza della ballerina, non smise di guardarla nemmeno un attimo. Egli credeva che avesse una sola gamba come lui e questa supposta infermità rinforzava il suo amore appena nato. Cercò allora di conoscerla e decise di andarle a far visita appena fosse venuta sera. Per far ciò, era indispensabile che il bambino si dimenticasse di allinearlo nella scatola. Il soldatino si lasciò scivolare dietro ad un cofanetto e li rimase sdraiato ed immobile. Come previsto, il bambino rimise i suoi soldati nella scatola dimenticandosi del nostro eroe! Venuta la sera, il silenzio invase la casa. Tutti i suoi abitanti dormivano tranquillamente... ad eccezione dei giocattoli. Nella penombra, incominciò una folle scorribanda: i palloni giocarono ai quattro cantoni, gli animali di peluche fecero alcune piroette e i soldatini di piombo sfilarono al suono del tamburo di un clown variopinto. In mezzo a tutta questa agitazione, rimanevano tranquille solo la ballerina di carta, che rimaneva nella sua posa acrobatica, e il soldatino di piombo che, nascosto dal cofanetto, continuava a fissarla. Malgrado la sua aria marziale e la sua prestanza, era timido e ritardava di minuto in minuto il momento dell'approccio. Questi momenti di esitazione gli furono fatali! Tutto preso dalla contemplazione della ballerina, il soldato di piombo non si accorse di un losco figuro, uno gnomo nero e gobbo come un diavoletto. Innamorato follemente della ragazza, vedeva nel soldatino un rivale pericoloso, giovane e bello. Cieco d'invidia, lo chiamò più volte, ma il giovane militare non lo ascoltò neppure. Allora lo gnomo lo fulmino’ con gli occhi e lo minaccio’: Tu mi ignori !Ma ti accorgerai Di me ben presto… Il mattino seguente il bambino si accorse che il soldatino di piombo era rimasto nascosto dietro al cofanetto; lo prese e lo posò sul davanzale della finestra. Immediatamente, un malaugurato soffio di vento, o forse il soffio vendicatore del rivale, lo fece cadere nel vuoto. Girando su sé stesso, la testa in basso e i piedi in alto, cadde vertiginosamente. Non potendo chiudere gli occhi, vide avvicinarsi spaventosamente il terreno. Quando toccò il suolo, la sua baionetta, con la violenza del colpo, si infisse nell'asfalto e così restò, capovolto. Il bambino si precipitò in strada per cercarlo, ma le carrozze e i passanti lo nascosero ai suoi occhi. Disperato, ritornò a casa, piangendo la perdita del suo soldatino preferito. Improvvisamente cominciò a cadere una violenta pioggia estiva. In un attimo si formarono rivoli di acqua che inondarono gli scarichi che portano alle fogne. Due sfaccendati videro il soldatino di piombo ed ebbero la curiosa idea di metterlo in una barchetta di carta che stavano costruendo. Poi deposero l'imbarcazione sull'acqua. Sballottato, il fragile scafo fu rapidamente preso dalla corrente turbolenta e scomparve in un gorgo buio. Il soldatino, convinto che il responsabile delle sue disavventure fosse lo gnomo, pensò che fosse giunta la sua ultima ora. Passò momenti interminabili nell'oscurità, bagnato dagli spruzzi dell'acqua agitata. Nessun dubbio! navigava nelle fogne... Infine vide la luce del sole in lontananza. La luce si fece sempre più forte e divenne un grande orifizio aperto sulla campagna e la liberta.- Uff! Sono sano e salvo... Sono scampato all'inferno. - Pensò il soldatino Sospirando con sollievo. Invece i suoi dispiaceri non erano finiti: un'enorme topo di fogna dall'aria feroce, bloccava l'uscita. I suoi occhi acuti avevano notato il naufrago che stava cercando una via d'uscita. La corrente era cosi forte che il topo, malgrado le sue cattive intenzioni, non poté prenderlo e con rabbia in cuore lo vide allontanarsi... Dopo l'ultimo scampato pericolo, la barchetta di carta continuò il suo viaggio attraverso i prati e i campi. Il corso d'acqua s'allargò diventando un ruscello. In piedi sull'imbarcazione, il soldatino di piombo osservava i fiori che ornavano le rive tranquille. Dopo questa momentanea calma, i flutti ridivennero violenti, il ruscello si trasformò in una cascata che si riversava in un lago. Presa da queste correnti, la barca non riuscì a resistere e si capovolse. Il soldatino di piombo colò a picco. Addio graziosa ballerina! Un enorme pesce che girovagava lo prese per una preda di cui era molto goloso, in un solo boccone lo afferrò e lo inghiotti tutto intero. Per il soldatino di piombo ci fu di nuovo l'oscurità... Poco dopo, il pesce venne catturato dalla rete di un pescatore del mercato. Il caso volle che il pesce fosse proprio comprato dalla cuoca al servizio dei genitori del bambino. Aprendo il ventre dell'animale per pulirlo, fu meravigliata di trovarci il soldatino perduto. Lo mise sul tavolo, vicino al castello di cartone. La ballerina gli mandò un sorriso così dolce da cui capi’ che anche lei lo amava. Che felicita’ dopo tante peripezie ! Ma lo gnomo non aveva ancora rinunciato alla sua vendetta. Malgrado i suoi sortilegi, infatti, i due giovani si amavano. Per farla finita suggerì al bambino di sbarazzarsi del soldatino con una sola gamba che rovinava la sua collezione. L'ingrato, dimenticandosi del suo preferito, lo gettò nel caminetto. Il soldatino si sciolse rapidamente per il calore, ma la testa, ancora intatta, continuava con gli occhi tristi bagnati di lacrime di piombo, a fissare la ballerina. All'improvviso s'aprì violentemente la porta, una corrente d'aria invase la stanza scaraventando il castello di carta sulle braci ardenti. Nello stesso istante prese fuoco e bruciò. Il giorno seguente, facendo le pulizie di casa, qualcuno mescolò le ceneri, ignorando, contrariamente alle intenzioni del diavoletto, di unire per l'eternità il soldatino di piombo e la ballerina di carta. A meno che il vento non disperda il piccolo mucchio di polvere grigia!
il gatto con gli stivali
IL GATTO CON GLI STIVALI Un mugnaio, venuto a morte, non lasciò altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto. Così le divisioni furono presto fatte: né ci fu bisogno dell'avvocato e del notaro; i quali, com'è naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredità. Il maggiore ebbe il mulino. Il secondo, l'asino. E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto. Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte così meschina. "I miei fratelli", faceva egli a dire, "potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune: ma quanto a me, quando avrò mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisognerà che mi rassegni a morir di fame." Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo: "Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e dopo vi farò vedere che nella parte che vi è toccata, non siete stato trattato tanto male quanto forse credete". Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che finì coll'aver qualche speranza di trovare in lui un po' di aiuto nelle sue miserie.Appena il gatto ebbe ciò che voleva, s'infilò bravamente gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne andò in una conigliera, dove c'erano moltissimi conigli. Pose dentro al sacco un po' di crusca e della cicerbita: e sdraiandosi per terra come se fosse morto, aspettò che qualche giovine coniglio, ancora novizio dei chiapperelli del mondo, venisse a ficcarsi nel sacco per la gola di mangiare la roba che c'era dentro. Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti un coniglio, giovane d'anni e di giudizio, che entrò dentro al sacco: e il bravo gatto, tirando subito la funicella, lo prese e l'uccise senza pietà né misericordia. Tutto glorioso della preda fatta andò dal Re, e chiese di parlargli. Lo fecero salire nei quartieri del Re, dove entrato che fu fece una gran riverenza al Re, e gli disse: "Ecco, Sire, un coniglio di conigliera che il signor marchese di Carabà", era il nome che gli era piaciuto di dare al suo padrone, "mi ha incaricato di presentarvi da parte sua". "Di' al tuo padrone" rispose il Re "che lo ringrazio e che mi ha fatto un vero regalo."Un'altra volta andò a nascondersi fra il grano, tenendo sempre il suo sacco aperto; e appena ci furono entrate dentro due pernici, tirò la corda e le acchiappò tutte e due. Corse quindi a presentarle al Re, come aveva fatto per il coniglio di conigliera. Il Re gradì moltissimo anche le due pernici e gli fece dare la mancia. Il gatto in questo modo continuò per due o tre mesi a portare di tanto in tanto ai Re la selvaggina della caccia del suo padrone.Un giorno avendo saputo che il Re doveva recarsi a passeggiare lungo la riva del fiume insieme alla sua figlia, la più bella Principessa del mondo, disse al suo padrone: "Se date retta a un mio consiglio, la vostra fortuna è fatta: voi dovete andare a bagnarvi nel fiume, e precisamente nel posto che vi dirò io: quanto al resto, lasciate fare a me". Il marchese di Carabà fece tutto quello che gli consigliò il suo gatto, senza sapere a che cosa gli avrebbe potuto giovare. Mentre egli si bagnava, il Re passò di là; e il gatto si messe a gridare con quanta ne aveva in gola: "Aiuto, aiuto! affoga il marchese di Carabà". A queste grida, il Re messe il capo fuori dallo sportello della carrozza e, riconosciuto il gatto, che tante volte gli aveva portato la selvaggina, ordinò alle guardie che corressero subito in aiuto del marchese di Carabà. Intanto che tiravano su, fuori dell'acqua, il povero Marchese, il gatto avvicinandosi alla carrozza raccontò al Re che mentre il suo padrone si bagnava, i ladri erano venuti a portargli via i suoi vestiti, sebbene avesse gridato al ladro con tutta la forza dei polmoni. Il furbo trincato aveva nascosto i panni sotto un pietrone. Il Re diè ordine subito agli ufficiali della sua guardaroba di andare a prendere uno dei più sfarzosi vestiari per il marchese di Carabà. Il Re gli usò mille carezze, e siccome l'abito che gli avevano portato in quel momento faceva spiccare i pregi della sua persona (perché era bello e benissimo fatto), la Principessa lo trovò simpatico e di suo genio: e bastarono poche occhiate del marchese di Carabà, molto rispettose ma abbastanza tenere, perché ella ne rimanesse innamorata cotta. Volle il Re che salisse nella sua carrozza, e facesse la passeggiata con essi. Il gatto, contentissimo di vedere che il suo disegno cominciava a pigliar colore, s'avviò avanti; e avendo incontrato dei contadini, che segavano, disse loro: "Buona gente che segate il fieno, se non dite al Re che il prato segato da voi appartiene al marchese di Carabà, sarete tutti affettati fini fini come carne da far polpette". Il Re infatti domandò ai segatori di chi fosse il prato che segavano. "È del marchese di Carabà", dissero tutti a una voce perché la minaccia del gatto li aveva impauriti. "Voi avete di bei possessi", disse il Re al marchese di Carabà. "Lo vedete da voi, Sire", rispose il Marchese. "Questa è una prateria, che non c'è anno che non mi dia una raccolta abbondantissima." Il bravo gatto, che faceva sempre da battistrada, incontrò dei mietitori, e disse loro: "Buona gente che segate il grano, se non direte che tutto questo grano appartiene al signor marchese di Carabà, sarete stritolati fini fini come carne da far polpette". Il Re, che passò pochi minuti dopo, volle sapere a chi appartenesse tutto il grano che vedeva. "È del signor marchese di Carabà", risposero i mietitori. E il Re se ne rallegrò col Marchese. Il gatto, che trottava sempre avanti la carrozza, ripeteva sempre le medesime cose a tutti quelli che incontrava lungo la strada; e il Re rimaneva meravigliato dei grandi possessi del signor marchese di Carabà.Finalmente il gatto arrivò a un bel castello, di cui era padrone un orco, il più ricco che si fosse mai veduto; perché tutte le terre, che il Re aveva attraversate, dipendevano da questo castello. Il gatto s'ingegnò di sapere chi era quest'uomo, e che cosa sapesse fare: e domandò di potergli parlare, dicendo che gli sarebbe parso sconvenienza passare così accosto al suo castello senza rendergli omaggio e riverenza. L'orco l'accolse con tutta quella cortesia che può avere un orco; e gli offrì da riposarsi. "Mi hanno assicurato", disse il gatto, "che voi avete la virtù di potervi cambiare in ogni specie d'animali; e che vi potete, per dirne una, trasformare in leone e in elefante." "Verissimo!", rispose l'orco bruscamente, "e per darvene una prova, mi vedrete diventare un leone." Il gatto fu così spaventato dal vedersi dinanzi agli occhi un leone, che s'arrampicò subito su per le grondaie, ma non senza fatica e pericolo, a cagione dei suoi stivali, che non erano buoni a nulla per camminare sulle grondaie de' tetti. Di lì a poco, quando il gatto si avvide che l'orco aveva ripresa la sua forma di prima, calò a basso e confessò di avere avuto una gran paura. "Mi hanno per di più assicurato", disse il gatto, "ma questa mi par troppo grossa e non la posso bere, che voi avete anche la virtù di prendere la forma dei più piccoli animali; come sarebbe a dire, di cambiarvi, per esempio, in un topo o in una talpa: ma anche queste son cose, lasciate che ve lo ripeta, che mi paiono sogni dell'altro mondo!" "Sogni?", disse l'orco. "Ora vi farò veder io!..." E nel dir così, si cangiò in sorcio, e si messe a correre per la stanza. Ma il gatto, lesto come un baleno, gli s'avventò addosso e lo mangiò.Intanto il Re che, passando da quella parte, vide il bel castello dell'orco, volle entrarvi. Il gatto, che sentì il rumore della carrozza che passava sul ponte-levatoio del castello, corse incontro al Re e gli disse: "Vostra Maestà sia la benvenuta in questo castello del signor marchese di Carabà". "Come! signor Marchese!", esclamò il Re. "Anche questo castello è vostro? Non c'è nulla di più bello di questo palazzo e delle fabbriche che lo circondano; visitiamolo all'interno, se non vi scomoda." Il Marchese dette la mano alla Principessa; e seguendo il Re, che era salito il primo, entrarono in una gran sala, dove trovarono imbandita una magnifica merenda, che l'orco aveva fatta preparare per certi suoi amici che dovevano venire a trovarlo, ma che non avevano ardito di entrar nel castello, perché sapevano che c'era il Re. Il Re, contento da non potersi dire, delle belle doti del marchese di Carabà, al pari della sua figlia, che n'era pazza, e vedendo i grandi possessi che aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse: "Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi". Il marchese, con mille reverenze, gradì l'alto onore fattogli dal Re, e il giorno dopo sposò la Principessa. Il gatto diventò gran signore, e se seguitò a dar la caccia ai topi, lo fece unicamente per passatempo.